1970-2020

50 ANNI DI ATTIVITÀ CORALE

Marostega

(Versi di Adolfo Giuriato - Musica di Vere Paiola)


1 - Soto el monte Pausolino
e tra l'Astego e la Brenta,
se la spapola contenta
'na zità che no' ga fiel.

Torno via ghe fa un inchino
i formenti, i fruti, i fiori
e i osei più cantadori
fa più belo el sole e 'l ziel.

La xe Marostega,
zità scaligera,
che sfida i secoli
nel so' Castel! (rit.)

2 - Sta zità la xe la prima
nei lavori de la paja;
le so' done, drezze in gaja,
fa capei per ogni età.

Ogni drezza xe 'na rima
che tien fresco un bel pensiero
quando l'omo, per mestiero,
v'a zirar de qua e de là.

Così a Marostega
zivili e rustizi,
ga l'elmo a drèzzole
de la zità! (rit.)


3 - Dentro e fora del Castelo,
per le strade in rampa e piane,
ghe xe do marostegane
che fa voja tute do.

Una zira tel zestelo,
st'altra va tra piazza e ciesa,
tute do xe 'na zieresa
mora e in polpa che no' so.

La ga, Marostega,
do fruti magizi;
per questo el popolo
no' va mai zo! (rit.)

4 - La zieresa col dolzore
che la fa così gustosa,
cambia i lavri de la tosa
in un fior... da becolar;

e sti tosi in sbrìo d'amore
te quel dolze i se ghe incola,
mola e tira, tira e mola,
i se va po' a maridar.

Viva Marostega,
che mete in gringola
l'amore, l'anima
e 'l lavorar! (rit.)

N.B. - Trascrizione fedele all’originale.
Secondo la testimonianza del Prof. Aliprando Franceschetti, memoria storica di Marostica, la canzone è stata composta negli anni intorno al 1936, quando è stata creata la Sagra delle ciliegie.

Partitura di Marostega
(cliccare sull'immagine per aprire il pdf)

Verecondo Giordano Paiola

(Noventa Vicentina, 7 aprile 1906 - Valdagno, 5 febbraio 1987)

IL RITRATTO di Giorgio Trivelli

Vere Paiola. Anzi, per dirla per intero ‘Il maestro Vere Paiola’. Era così che tutti lo conoscevano ed era così che usavano chiamarlo, a Valdagno e nel circondario, dove per lunghi anni musica e vita si erano ormai fuse in lui in un sodalizio inscindibile. C’era un misto di rispetto e insieme di affettuosa familiarità in quell’abbreviativo tronco, che sembrava rendere più accessibile e confidenziale l’impegnativo e ben più solenne Verecondo riportato nei registri di nascita e di battesimo, in quel di Noventa Vicentina. Qui infatti Vere era nato il 7 aprile 1906, figlio di Valentino e di Rosa Usan, e qui, fin da piccolo, aveva incontrato il suo futuro destino: la musica, appunto. Suo padre, direttore di banca, cantava infatti da baritono e dirigeva il coro della parrocchia. Da lui il figlio ereditò il talento e la passione, tanto che a soli dieci anni (siamo in piena guerra mondiale) usava spingersi fino a Montagnana, distante più di dieci chilometri, per prendere le sue prime lezioni di pianoforte. Appena poté si iscrisse al Conservatorio “Canneti” di Vicenza, dove ebbe come maestro di armonia e di composizione il noto musicista vicentino Antonio Coronaro e dove intorno alla metà degli anni ’20 ottenne il diploma in pianoforte, organo e canto corale. Esordì quindi, sempre a Vicenza, come insegnante presso la Scuola di musica “Santa Cecilia”, avendo modo di incontrarvi fra gli altri anche mons. Ernesto Dalla Libera, il grande riformatore della musica sacra. Ma intanto i suoi interessi si andavano sempre più concentrando sulle canzoni vicentine tramandate oralmente, di generazione in generazione, in città ma soprattutto nelle zone rurali e periferiche. Attratto dalle storie e dalle antiche melodie della cultura popolare, a partire dal 1927 cominciò a girovagare attraverso paesi, contrade e sagre della provincia annotando testi e musiche delle tradizioni locali.

Amava rimanere la sera “a filò” nelle stalle per ascoltare interminabili filastrocche e per farsi ripetere dai bambini giochi e girotondi, oppure entrare nelle osterie dove si improvvisavano i cori, dei quali registrava – munito di carta e matita – il ritmo, i versi rimati e la sequenza delle note. Nel 1930 fu nominato dal Conservatorio responsabile provinciale per la musica e il canto e dal 1939 fu inoltre titolare dell’Ufficio artistico e culturale del Dopolavoro provinciale; incarichi che lasciò nel 1943 in piena crisi bellica, mentre già da qualche tempo Valdagno era diventata per lui una specie di ‘seconda patria’. L’attività valdagnese di Vere Paiola era infatti iniziata nel 1935, quando vi era stato chiamato a dirigere il grande coro (ben 125 elementi!) che formava, insieme agli 80 componenti della banda, il “Complesso strumentale e corale Marzotto”, destinato a conseguire importanti successi a livello nazionale e internazionale.E nella città laniera il maestro aveva alla fine deciso di stabilirsi definitivamente, sposando nel 1941 Diana Laura Danese (1920-2002) da cui avrebbe avuto un figlio, Maurizio. Da allora e fino al pensionamento continuò ad insegnare musica e canto corale presso la scuola di musica “V.E. Marzotto”, che ancora nel 1933 il conte Gaetano aveva dotato di uno splendido edificio nuovo di zecca. Mentre Paiola creava qui il “Complesso fisarmonico corale”, con il quale andò sviluppando un’intensa attività concertistica, la sua ricerca sul canto popolare veneto non conosceva soste e raccoglieva importanti soddisfazioni. Nell’estate del 1957, nell’ambito del ciclo di trasmissioni “Le Sempreverdi”, il secondo programma radiofonico della Rai mandò in onda il canto popolare Ogni domenega, eseguito appunto dal coro della Scuola di musica “Marzotto” diretto da Paiola e accompagnato da ben 15 fisarmoniche, contrabbasso, chitarra elettrica e batterie. 

Dal 1958 al 1968 fu consulente artistico e presidente permanente della giuria al Festival della canzone veneta di Sandrigo. Negli anni ‘70 gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Del maestro Vere Paiola rimane in molti il ricordo di un uomo tanto affabile e mite, quanto esigente e rigoroso nell’insegnare, a intere generazioni di giovani musicisti, la tecnica del canto corale e l’uso del suo strumento preferito, il pianoforte. Centinaia sono stati i suoi allievi e qualcuno di loro, allora giovanissimo, ancor oggi rammenta la bonarietà severa di un ‘nonno’ che aveva votato alla musica la sua intera esistenza. Ma ciò che fa di Vere Paiola il «maestro dei maestri», come ebbe a definirlo Bepi De Marzi, è la pubblicazione con Roberto Leydi, nel 1975, della grande raccolta dei Canti popolari vicentini, frutto di quasi cinquant’anni di ricerche condotte sul campo. Un’opera che per la nostra terra rimane nel suo genere un esempio e un caposaldo fino ad oggi insuperati. Vere Paiola morì a Valdagno il 5 febbraio 1987. Alla sua memoria il Comune ha dedicato nel centro storico, poco lontano dal duomo di San Clemente, il Largo Vere Paiola.


Bibliografia e fonti
Canti popolari vicentini raccolti con le musiche da Vere Paiola, ordinati e annotati da Roberto Leydi, Vicenza 1975. M. DAL LAGO, 'Verecondo Paiola' in Dizionario biografico della Valle dell’Agno, a cura del Gruppo Storico Valle dell’Agno, Verona 2012, pp. 185-186.
G. TRIVELLI, Centoventicinque anni di musica. La «Banda Marzotto» di Valdagno 1883-2008, Valdagno 2008.

Questo articolo, con la collaborazione del coro Amici dell’Obante di Valdagno, è stato tratto da:


Notiziario marzo - aprile 2018

Adolfo Giuriato

(Vicenza, 12 ottobre 1881 - Vicenza, 1 settembre 1945)

Adolfo Giuriato è il gentile poeta contemporaneo, che predilesse Vicenza di un amore profondo e delicato e la cantò in versi semplici e suggestivi, ora briosi, ora velati di malinconia, esaltandola nella serenità dei suoi colli e nella bellezza dei suoi monumenti, ma soprattutto nel carattere della sua gente, della quale egli figlio del popolo e cresciuto in mezzo ad esso, seppe interpretare e con naturalezza esprimere qualità e sentimenti, casi, aspirazioni e bisogni. Preferì alla lingua nazionale il dialetto veneto, forse più adatto al suo animo schietto e modesto o più aderente alle tenuità delle sue fantasie e dei suoi motivi tematici. Amici ed estimatori gli eressero una stele marmorea con busto in rilievo opera dello scultore Zanetti, al termine del breve viale di cipressi che dalla strada di Sant’Agostino conduce all’omonima vetusta chiesa, in quell’ambiente suggestivo e tanto congeniale al suo carattere, dov’egli spesso si rifugiava per cercare, nell’alto silenzio del luogo, con la quiete dello spirito l’ispirazione alla sua poetica fantasia.
Sulla facciata poi del palazzetto già Muzzi in Piazza Matteotti, abitato in vita dal Giuriato e dove egli si spense, fu murata una lapide che reca la seguente bella e compendiosa epigrafe dettata dal Comm. Secondo Piovesan. “in questa casa Adolfo Giuriato – poeta – diede ali e luci ai suoi dolcissimi canti – e l’ultimo ciocco arse – nell’anelito dell’eterno – MDCCCLXXXI – MCMXLV”.

(Notizie biografiche tratte dal sito https://falcoimpetuoso.wordpress.com/2014/05/10/adolfo-giuriato-poeta-vicenza/)

Ricerche a cura di Albano Berton